Perché dopo tutta la querelle tra Teo Mammucari e Francesca Fagnani è d’obbligo farci un esame di coscienza. Lui se l’è già fatto.
C’è qualcosa che mi ha colpito subito, guardando l’intervista di Teo Mammucari a Belve. Non sono state le risposte taglienti o il suo modo di fare a tratti provocatorio, ma un dettaglio che, forse, molti hanno ignorato.
Teo non stava bene: questa è l’impressione che ho avuto fin da subito. Non era un atteggiamento spavaldo o fuori luogo, come in molti hanno voluto dipingere sui social; a guardarlo con attenzione, era chiaro che c’era qualcosa di diverso, di fragile. Quel disagio, quella difficoltà nel rispondere alle domande di Francesca Fagnani, non era finta. Si vedeva negli occhi, nel modo in cui si muoveva e nelle parole che, a volte, sembravano uscirgli a fatica.
Eppure, fuori da quello studio, sui social, è iniziato uno spettacolo che spesso sappiamo mettere in scena alla perfezione: il tiro al bersaglio. Meme, battute, insulti. Qualcuno ha parlato di “scorrettezza”, qualcun altro ha alzato il tiro con commenti volgari e cattivi. Per molti, Mammucari era diventato il personaggio di turno da distruggere, senza porsi troppe domande.
Dopo quell’intervista interrotta, diventata subito virale, Mammucari ha dovuto spiegarsi. Lo ha fatto in un’intervista con Selvaggia Lucarelli, dove ha raccontato una verità che nessuno si aspettava. “Quando uno prende il Lexotan per dormire non sta bene”, ha detto, ammettendo di stare attraversando un periodo complicato. Parole pesanti, private, che nessuno dovrebbe sentirsi obbligato a dire pubblicamente, ma che lui ha pronunciato con una sincerità disarmante.
Ha parlato della pressione che lo sta schiacciando, della voglia di fermarsi, di prendersi un anno sabbatico dalla TV e dal teatro. Ha raccontato delle difficoltà personali, di un dolore che lo accompagna da tempo, e di come, forse, tutto sia esploso proprio in quel momento, sotto i riflettori di uno studio buio e silenzioso.
E mentre lui si confessava, io pensavo a quello che era successo sui social nelle ore e nei giorni successivi all’intervista: un’ondata di cattiveria gratuita. Perché? Perché è più facile ridere, puntare il dito e deridere qualcuno che mostra un segno di debolezza.
Il caso Teo Mammucari e la superficialità dei social network
La storia di Mammucari non è un caso isolato. I social, ormai, sono diventati una piazza dove chiunque si sente in diritto di giudicare, criticare e insultare. Si vede un frammento di video, si ascolta una frase estrapolata dal contesto e si parte con sentenze implacabili. Non ci si ferma mai a pensare che dietro a quel personaggio, a quell’immagine televisiva, c’è una persona vera, con emozioni, problemi e fragilità come tutti noi.
Questa volta, però, il disagio era evidente. Mammucari non stava bene, e il video lo mostrava chiaramente. Non serviva essere esperti di psicologia per capirlo, bastava osservare con attenzione. Eppure, in molti hanno preferito ridere e insultare, piuttosto che chiedersi cosa stesse davvero succedendo.
Il problema non è né la Fagnani, né l’intervista in sé, né il format di Belve, che resta un programma ben fatto. Il problema siamo noi, come pubblico, come utenti di social, sempre pronti a scatenarci senza riflettere. Quella reazione di Mammucari era un campanello d’allarme, un segnale chiaro che qualcosa non andava. Ma invece di ascoltarlo, molti hanno preferito trasformarlo in uno spettacolo, in un caso mediatico su cui ridere per qualche giorno.
E così, alla fine, è stato costretto a dirlo lui: non sto bene. Ha dovuto raccontare di ansia, di farmaci per dormire, di insicurezze che si porta dietro da quando era bambino. Una confessione che nessuno avrebbe dovuto chiedergli, e che però, alla fine, è stata necessaria per fermare quella macchina infernale di commenti e meme.
Un’occasione per riflettere
Forse è arrivato il momento di fare un esame di coscienza. Di fermarci prima di scrivere l’ennesimo commento cattivo, prima di condividere un meme che, per quanto divertente, può ferire chi sta già affrontando un momento difficile. Sui social, il confine tra ironia e cattiveria è sottilissimo, e spesso non ci rendiamo conto del peso delle nostre parole.
Teo Mammucari è un volto noto, un personaggio pubblico, ma dietro quella facciata c’è un uomo che, come tutti, può vivere un momento di fragilità. Non è una giustificazione, ma dovrebbe bastare a farci capire che non sempre sappiamo tutto di quello che vediamo.
La prossima volta che ci viene voglia di puntare il dito, pensiamo a questo: e se fosse successo a noi? Se fossimo noi, in un momento di debolezza, a finire nel mirino di battute e insulti? Magari, prima di parlare, possiamo collegare il cervello e scegliere di essere un po’ più umani.